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L’importanza del papà



Pubblico un pò in ritardo questo bellissimo articolo prelevato dalle pagine web di www.tipresentoilcane.com. Anche se in ritardo ne valeva la pena proporvelo!!!
di VALERIA ROSSI – E’ la festa del papà, auguri a tutti i papà. A due zampe, ma anche a quattro.
Perché i papà cani sono fondamentali per il corretto sviluppo dei cuccioli, forse ancor più dei papà umani (che spesso, nei primi giorni di vita dei figli, si limitano a girare intorno coccolandoli un po’, ma senza intervenire: un po’ perché hanno paura di romperli, un po’ perché hanno paura e basta – ovvero, non si sentono all’altezza e ritengono che il rapporto madre-figlio sia così intenso e speciale che loro non potrebbero aggiungervi nulla).
I papà cani, al contrario, per i primissimi giorni non girano neanche intorno: si disinteressano completamente della cucciolata (e se per caso si avvicinano, vengono cacciati dalla mamma senza troppi complimenti): ma verso i 35 giorni, quando i piccoli escono per la prima volta dalla sala parto, prendono completamente in mano la situazione e il ruolo di educatori lo assumono quasi completamente loro, relagando la mamma a quello di “latteria” o poco più.
Purtroppo questo avviene soltanto nelle famiglie complete di maschio e femmina, perché molto – troppo – spesso si tende, anche in allevamento, a considerare il maschio solo come un produttore di sperma, ignorandone il ruolo educativo. Si prendono quindi monte da cani che abitano anche a centinaia di chilometri, che i loro figli non li vedranno mai.
Questo, però, paradossalmente, è il male minore: è sufficiente, infatti, che in allevamento ci sia almeno UN maschio, perché possa occuparsi lui di insegnare il galateo canino ai cuccioli.
Infatti i maschi, in natura, mica possono sapere quali sono i loro figli e quali no. Loro hanno rapporti con una o più femmine (soltanto una, se sono lupi: ma se sono cani, vedi per esempio i dingo, montano tutto ciò che si mostra disponibile), dopodiché per tre mesi circa non hanno più alcuna notizia di ciò che sia accaduto. Quando appaiono i primi cuccioli, mentre le mamme sanno benissimo quali sono i propri e quali sono invece quelli estranei (e infatti, in alcuni casi, quelli estranei possono anche attaccarli), i papà sono “programmati”  dalla natura a pensare che siano tutti figli loro. Quindi li rispettano tutti, non li aggrediscono e, se ne hanno la possibilità, diventano i mentori, gli educatori, i maestri di tutti.
Se così non fosse, non avendo la possibilità di riconoscere i propri figli, i maschi adulti potrebbero attaccarli ed ucciderli: cosa decisamente poco produttiva per la conservazione della specie. Quindi Madre Natura ha fatto in modo che questo non potesse accadere.
Le cucciolate senza padre, nella società umana, nascono più facilmente dai privati: che magari scelgono il papà tra i cani degli amici che si incontrano al parchetto, ma poi tirano su la cucciolata in casa loro, soltanto con la mamma, senza più preoccuparsi di far conoscere i cuccioli al padre biologico. E siccome la maggior parte della gente ignora il ruolo del padre nell’educazione dei cuccioli, neppure si preoccupano di trovare un padre putativo (anzi, di solito dei maschi adulti hanno paura e non li lasciano neppure avvicinare ai cuccioli).
Ma questo è sbagliato, e sta alla base di molti futuri cani rissosi con i propri simili.
Qual è, infatti, il ruolo del maschio nell’educazione dei figli (o dei cuccioli non suoi, ma che lui crede suoi)?
Come dicevamo sopra, è quello di insegnare loro il “galateo canino”; che comprende, tra gli altri,  i concetti di “distanza di sicurezza” (o di tutta la prossemica, se preferite) e di “rispetto per la proprietà altrui”.
E’ il padre a fare grandi sceneggiate del tutto innocue, ma spettacolarissime (tanto che chi non sa cosa sta facendo pensa che voglia sbranarsi i cuccioli), se uno dei piccoli tenta di appropriarsi di un suo oggetto (pallina, osso, pezzo di legno che sia).
E’ il padre a ringhiare sonoramente quando non vuole essere seccato e i cuccioli invadono il suo spazio (la mamma non potrebbe dare questo tipo di insegnamento, perché lei deve  lasciarsi avvicinare in qualsiasi momento: il cucciolo potrebbe avere fame e aver bisogno di essere allattato).
Ricordo una scenetta particolarmente comica (o tragicomica, se preferite) che si svolse in un allevamento di bull terrier: l’allevatore, anche dopo aver venduto i cuccioli, insisteva perché i piccoli venissero riportati qualche volta in allevamento per poter avere un corretto inserimento nel “branco” (la cosa è particolarmente importante per questa razza, dove i maschi tendono ad essere rissosi con i loro simili avendo alle spalle una selezione da cani da combattimento).
Per caso mi trovavo lì quando arrivò la classica famigliola col loro cucciolo stracoccolato, tutto rotondino e pulitissimo, profumato di borotalco, tenuto in braccio. L’allevatore disse “mettetelo pure giù” e fece uscire mamma e papà del piccolo.

Grandi feste alla mamma (che i cuccioli ricordano bene per qualche mese, anche dopo essere entrati nella nuova famiglia), papà che si faceva gli affaracci suoi e sembrava poco interessato a questa scenetta da “Carramba, che sorpresa!”: annusava in giro, cercando qualcosa che sapeva solo lui.
Io, da esperta di lunga data di famiglie canine, avevo già capito cosa stava facendo in realtà: cercava qualcosa di adatto a fare il “gioco del tabù”. E infatti, pochi istanti dopo, arrivò tutto trionfante con un “tronchetto misura bull terrier”: ovvero, praticamente un albero, che si mise tra le zampe aspettando che il figlio andasse a cercare di fregarglielo.
Il cucciolo, immancabilmente, ci cascò con tutte le scarpe (vabbe’: con tutte le zampe), e dopo aver tentato inutilmente di ciucciare dalla mamma, che ormai non aveva più latte da un pezzo, si diresse tutto impettito e scodinzolante verso papà, che lo lasciò avvicinare fino a un metro circa e poi fece ROARRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR: un vero e proprio ruggito, più che un ringhio.
Il cucciolo rimase un attimo perplesso, poi adocchiò il tronco: che, essendo anche lui un bull terrier, trovò interessantissimo. E decise che doveva assolutamente averlo.
Ed ecco la scena: il cucciolo, sfidando il padre ruggente, allunga il muso verso il tronco e cerca di prenderlo.
Il padre scatta a bocca spalancata, facendo nuovamente GROARRRR!!! e il cucciolo sparisceletteralmente dentro le sue fauci urlando CAIN CAIN CAIN come un cane che stanno facendo a pezzi.
L’ umana del cucciolo si mette a strillare più forte di lui: “Lo ammazzaaaaa!!! Fate qualcosaaaaaaaaaaaaa!!!”
L’allevatore ed io ci guardiamo e ridiamo, perché sappiamo benissimo come funziona il “tabù”. Lei ci prende per pazzi furiosi e scrolla l’allevatore per un braccio: “Fermi quel cane! Salvi il mio cucciolo!”.
Noi cerchiamo di spiegarle che il maschio adulto sta facendo solo scena, ma lei non sente ragioni e scoppia a piangere istericamente, convinta che del suo piccolino siano rimasti solo brandelli: nel frattempo padre e figlio hanno chiarito tutto quello che c’era da chiarire, il cucciolo si è arreso e, un po’ sbavato ma senza un pelo fuori posto, viene tutto allegro a vedere cosa cavolo stia succendo alla sua umana, che si sta dando alla disperazione. Va lì e la lecca la faccia, scodinzolando a mille.
Lei, che aveva gli occhi chiusi, li apre, lo vede e grida: “MA SEI VIVOOOOO!” a un tale volume che il cucciolo, memore dell’esperienza appena vissuta, spancia gridando di nuovo CAIN CAIN CAIN! (e pensando, probabilmente. “Stamattina sono diventati tutti matti, meglio arrendersi”), esattamente come aveva fatto durante l’attacco del padre.
Morale della favola: la sciura ci mise un po’ a riprendersi, ma alla fine comprese (concludendo, però, che non avrebbe più portato il cucciolo in allevamento, perché intanto il suo vicino di casa aveva un bel maschietto adulto di una decina di chili e l’avrebbe fatto giocare con lui).
Il cucciolo, che aveva ricevuto la sua lezione di educazione, non osò più avvicinarsi al padre quando questi aveva qualcosa tra le zampe, ma quando l’adulto lasciò perdere finalmente il tronco andò a dargli musatine di sottomissione e i tre (papà, mamma e piccolo) gocarono allegramente per la mezz’ora successiva: dopodichè il piccolo schiantò dal sonno e cominciò a russare come una motosega tra le braccia della sciura.

Insomma, aneddoti tragicomici a parte, l’importanza del maschio adulto dell’educazione dei piccoli è palese: imparando da lui che la roba degli altri non si tocca, i cani in futuro eviteranno quella che è di gran lunga la maggiore causa scatenante di risse (come chiunque può vedere in qualsiasi parchetto, quando tutti vanno d’amore e d’accordo finché non appare una pallina o un frisbee).
Padre e madre insieme insegnano anche al cucciolo i rudimenti della lotta e quelli della caccia, ma la figura del maschio è fondamentale soprattutto perchè il cucciolo impara da lui: a) la disciplina (di cui ha un istintivo e profondo bisogno: e c’è davvero da sperare che sia il padre ad inculcargliela se il cucciolo finirà poi in mano a qualche sciura eccessivamente buonista, che gli lascerà completa carta bianca rovinandone immancabilmente il carattere); b) il concetto di gerarchia (il maschio è il capofamiglia: il capo è severo, ma giusto. Il capo non si mette mai in discussione, perché ha ragione lui); c) la docilità verso l’uomo, perché una volta assodato che papà è il più grande, il più forte e  il più giusto, i cuccioli scopriranno che c’è qualcun altro a cui papà obbedisce e con cui si comporta docilmente. Gli umani! Allora i cuccioli penseranno che gli umani siano ancora più forti, grandi e giusti del padre.
E’ importante sottolineare la differenza tra “severo ma giusto” e “inutilmente violento”: infatti, se osserviamo un cane sgridato o picchiato dall’uomo senza un motivo che lui possa capire (per esempio, un cucciolo che viene punito per qualcosa che ha fatto un’ora prima, come una pipì in casa) vedremo che la sua reazione è di paura e avvilimento. Butta indietro le orecchie, abbassa la coda, striscia più lontano che può, va a nascondersi nella sua cuccia.
Al contrario, un cucciolo che si è appena preso una passata galattica dal padre, come quella che abbiamo descritto sopra, a scenataccia finita va da lui a testa, orecchie e coda alta, gli dà i bacini all’angolo della bocca (sottomissione attiva), scodinzola e gli “rende onore”, sì, ma in modo allegro e sicuro. Questa è la differenza tra la sottomissione a un membro del branco che si riconosce come “superiore”, da stimare ed ammirare, e la pura e semplice paura inculcata da qualcuno che sarà anche più forte fisicamente, ma si comporta come uno squilibrato.
Il cucciolo, infatti, non ha la minima idea del perché venga punito: quella pipì non si ricorda neppure di averla fatta, e anche se lo ricordasse non sarebbe assolutamente in grado di collegarla alla punizione che riceve.
I cani non sono teneri con i loro piccoli, ma sono sempre chiarissimi e coerenti: quando ho qualcosa in bocca o tra le zampe tu non dovrai provare MAI E POI MAI a portarmela via. Fine della storia.
Questo è il comportamento di un capo che merita rispetto. Quello dell’umano che mena “random” è il comportamento di un pazzo da cui conviene diffidare sempre e comunque.
Quindi, cari papà (e mamme) umani: impariamo dai papà cani.
E non soltanto oggi che è la loro festa.

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